La casa di Jack, il cinema dell’ultra violenza senza limiti di Lars Von Trier

A cinque anni dallo scandaloso Nymphomaniac, il regista Lars Von Trier torna dietro la macchina da presa per dirigere La casa di Jack (The house that Jack built), un’opera di architettura psicologica della mente perversa del serial killer Jack, interpretato da un immenso Matt Dillon.

La casa del titolo fa riferimento a quella che, omicidio dopo omicidio, Jack tenta di costruire innalzando travi di legno, vicino a un placido lago per poi abbatterle, e arrivando infine a erigere una definitiva e inquietante costruzione nell’epilogo del film. Allo stesso modo, scena dopo scena, il regista danese realizza una delle sue opere più riuscite ed efferate, che racchiude tutti i punti cardini della sua cinematografia: immagini dal forte impatto visivo, voglia di scandalizzare e spiazzare lo spettatore, premendo questa volta indiscriminatamente il grilletto dell’ultra violenza.

Matt Dillon aderisce al personaggio in maniera impeccabile, portandone alla luce compulsioni, perversioni infantili, aspirazioni artistiche e tormenti dell’animo. Un’inquadratura dopo l’altra, scorgiamo nei suoi occhi un insano compiacimento per i suoi sadici atti criminali, e una propensione verso una personale e terribile visione dell’arte. Infatti, Jack inizia a firmare i suoi omicidi utilizzando lo pseudonimo di Mister Sophistication, e a fotografare i cadaveri che infoltiscono man mano il suo curriculum assassino e che, dal suo folle punto di vista, guarda come opere d’arte.

Il film può vantare l’ultima interpretazione del compianto Bruno Ganz che, nelle vesti di Virgilio, scorta il protagonista in un viaggio nei meandri infernali, interrogandolo e mettendone a nudo le contraddizioni, la crudeltà  e l’indole puramente malvagia insita nel suo io.

Ad avvalorare ulteriormente il film di Lars Von Trier, c’è la partecipazione dell’attrice statunitense Uma Thurman, alcune tracce musicali di David Bowie e tanti riferimenti all’arte e alla letteratura, tra cui quello a Dante Alighieri, utilizzato dal regista come riferimento per la rappresentazione dell’Inferno.

Giovanni Boccuzzi

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