Bif&st 2019, recensione de Il Grande Spirito di Sergio Rubini

Tra le anteprime internazionali del Bif&st 2019 c’è Il Grande Spirito, il nuovo film del regista pugliese Sergio Rubini. Girato nella periferia tarantina, per lo più sui terrazzi condominiali di quel popolare concentrato urbano, vede il ladro Tonino, detto il Barboncino, incontrare durante la fuga dopo una rapina uno strano individuo, Renato. Quest’ultimo, un pò svitato, è convinto di essere un indiano Sioux con tanto di nome di battaglia, Cervo Nero.

Renato cura le ferite dell’incredulo Tonino, e gli parla del Grande Spirito che gli ha svelato l’arrivo dell’Uomo del Destino, che il fantomatico indiano riconosce nel furfante.

Il film è il racconto dell’incontro di due universi agli antipodi: uno materialista, avido di denaro e legato all’immanente terreno, impersonato da Tonino; e l’altro psicologicamente borderline ma spirituale, quasi elevato  e distaccato da tutto ciò che è materia, possesso e moneta, impersonato da Renato.

Con una fotografia che racchiude le ciminiere delle industrie tarantine che gettano nell’aria i loro velenosi segnali di fumo, il film si poggia soprattutto sulle interpretazioni dei due protagonisti: Sergio Rubini e Rocco Papaleo, rispettivamente Tonino e Renato. La loro sintonia pare perfetta, con i giusti momenti comici e l’uso delle inflessioni dialettali che li contraddistinguono.

Il fronteggiarsi dei due personaggi, i loro dialoghi spesso al limite del reale e le situazioni che riecheggiano le ambientazioni western, rendono Il Grande Spirito un film interessante e godibile a più livelli di lettura. Un’altra perla che ben s’inserisce all’interno della filmografia del regista e attore Sergio Rubini.

Giovanni Boccuzzi

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