If you’re black you might as well not show up on the street ‘Less you want to draw the heat (Se sei negro è meglio che non ti faccia nemmeno vedere per strada a meno che tu non voglia essere incastrato).
Si può iniziare con le parole di una famosa canzone di Bob Dylan, Hurricane, la recensione del film Green Book. Il menestrello di Duluth dedicava i suoi versi a Rubin Carter, pugile di colore ingiustamente incolpato di omicidio e messo in una cella, quando invece sarebbe potuto diventare campione del mondo.
Il film di Peter Farrelly è un bell’affresco di un’America degli anni ‘60, non molto lontana dalla democratica nazione dei nostri giorni e dal suo clima guardingo verso tutto ciò che è straniero, del quale forse non potrà mai del tutto liberarsi.
La pellicola racconta la vera storia del buttafuori italo-americano Tony Vallelonga e di Don Shirley, un talentuoso pianista di colore, troppo nero per i bianchi che ne hanno considerazione solo per fregiarsi di una cultura musicale classica e lo trattano come puro intrattenimento per le loro serate mondane chic; e troppo bianco per la sua gente di colore che, invece, lo guarda con sospetto in quanto benestante, ben vestito, e ai loro occhi snob verso le sue origini africane.
Dopo le iniziali diffidenze, Tony accetta di fare da autista al pianista in un tour nel profondo sud americano, dove la segregazione razziale e la netta divisione tra bianchi e neri sono radicati nella quotidianità della popolazione. Tra i due si instaura un’amicizia che va oltre il colore della pelle e segnerà le vite di ciascuno, cambiando la loro personale visione dell’altro.
Green Book ha trionfato agli Oscar 2019, aggiudicandosi il premio come Miglior film, Migliore sceneggiatura originale, e Migliore attore non protagonista a Mahershala Ali coadiuvato da un altrettanto bravo Viggo Mortensen.
Giovanni Boccuzzi