Intervista alla scrittrice barese Rita Lopez, tra mito e bisogno di epica

La raccolta di racconti Peccatori sconfitti e per di più insolenti (Florestano Ed.) è il nuovo lavoro editoriale della scrittrice Rita Lopez, sociologa e archeologa barese, attualmente residente a Roma. Il libro sarà presentato mercoledì 20 febbraio alle ore 18 nella libreria Monbook di Bari (via Crisanzio 16). In esclusiva, abbiamo intervistato l’autrice.

Con Vie d’uscita e Apri gli occhi, hai cercato i tuoi racconti nelle pieghe della Storia, indagando come quest’ultima abbia influito nella vita quotidiana di persone semplici. Adesso con Peccatori sconfitti e per di più insolenti attingi direttamente dal mito. Cosa ti affascina di più della mitologia classica?

Sicuramente quello che mi affascina di più della mitologia, e non solo di quella classica, è la sua attualità. Il racconto mitologico ha su tutti noi, credo, un ascendente fortissimo. Esercita un richiamo potente. Proprio perché si tratta di racconti acronici, al di fuori di un preciso tempo storico, riescono ad adattarsi a qualsiasi epoca. Quindi anche alla nostra. Il racconto mitologico abbraccia una serie di valori universali. Parla di archetipi. Tocca temi che ci riguardano tutti, che tutti sentiamo vicini, come l’amore, il coraggio, l’onore, il tradimento, l’attesa. Del mito mi affascina la sua permeabilità, la sua adattabilità, che lo sgancia da ogni legame temporale. Pensa soltanto al mito di Antigone: il re di Tebe, per motivi politici, non voleva concedere la sepoltura a Polinice, fratello di Antigone. La ragazza spiava da lontano il corpo del fratello, adagiato senza vita sulla terra polverosa, e non si dava pace. E meditava. E alla fine, contravvenendo alla legge, alle istituzioni, agli ordini, decise di dare degna sepoltura al corpo di suo fratello. E non è Ilaria Cucchi, ad esempio, una moderna Antigone? Non contravviene anche lei alle leggi, alle istituzioni, agli ordini? Non combatte da sola, contro tutti, contro il mondo intero, pur di dare “degna sepoltura” a suo fratello? Io trovo una strabiliante adattabilità del mito di Antigone con la storia di Ilaria Cucchi.

Il tuo libro si incentra su personaggi mitologici, perlopiù donne, che incarnano un certo tipo di femminilità e di attitudine nell’essere donna. Le loro gesta sono filtrate attraverso la tua sensibilità, la tua esperienza di vita, e questo li rende più vicini, più umani. Quanto di te è presente in loro?

Un posto d’onore in questi miei racconti (più che altro li chiamerei istantanee fotografiche), è occupato dalle donne. Numerosissime nella mitologia sono le donne peccatrici, le donne sconfitte, le donne insolenti. Non a caso in queste cinquanta istantanee fotografiche, trentadue sono quelle in cui parlo di donne. È alle donne che inevitabilmente è rivolta la mia attenzione, perché le donne nella mitologia hanno il ruolo più negativo. Le donne sono le ammaliatrici, quelle che cercano di sedurre l’eroe, di distrarlo dalla sua missione. Come Calipso, o Didone. La donna è la maga che crea sortilegi, come Circe. Oppure ha la funzione di placare l’ira degli dei, di fare da capro espiatorio, agnello sacrificale per rabbonire le divinità. Come Andromeda, o Ifigenia. O, ancora, la donna ha la sola funzione di garantire il processo riproduttivo. Come Lavinia, di cui non si sa nulla, tranne che fosse la figlia del re Latino, data in sposa a Enea, re di Troia, per dare l’avvio alla gloriosa stirpe del popolo romano. Uno dei pochi esempi positivi di donna, è quello di sposa fedele e paziente. E qui vengo a rispondere all’altra parte della tua domanda, cioè quanto di me è presente in loro. Io questo esattamente non lo so. Quello che so è che mi sono divertita a contrapporre alla figura della donna sedotta e abbandonata, la donna consapevole della fine di una storia Mi piaceva molto l’idea di contrapporre alla figura di una Penelope silenziosa, una donna che si è stancata di aspettare. Che ha tutto il diritto di essersi stancata di aspettare. La Kore di Nikandre, che è in copertina diventa, nella mia immaginazione, l’emblema della ragazza che si è stufata di filare dritto. In tutti i sensi. In quello letterale del filare la lana, compito cui si dedicavano le donne, e in quello metaforico di “rigare dritto”. Beh! Tutto sommato, forse, ho anche risposto alla seconda parte della tua domanda.

Viviamo un periodo molto particolare per quanto riguarda la figura della donna, troppo spesso vittima quotidiana nei fatti di cronaca nera. In quale personaggio vorresti si riconoscessero le donne di oggi?

Più che altro vorrei che si affrancassero dal ruolo di donna che perdona, “perché in fondo lui mi ama”. Di donna che aspetta, “perché prima o poi cambierà”. Di donna che tace, “perché i panni sporchi è meglio lavarli in casa”. Vorrei che ogni tipo di violenza, in ogni sua forma, a partire da quella che le rende meno libere, meno uguali, subalterne, e alla fine vittime, non sia mai un fatto privato. Paradossalmente ti dico che sarebbe del tutto inutile e non risolutivo riconoscersi in un personaggio, in un’eroina particolare. A che pro? Qui non basta uno slogan per fermare questa spirale. Non basta un gesto eclatante. Quello che serve è una lunga, paziente, costante, instancabile trasformazione culturale, che inizi da subito, dalla primissima infanzia. Sai quante volte ho assistito a madri e padri che chiamano “femminuccia” il proprio figlio maschio, quando si mette a piangere o fa i capricci, per esempio? Io trovo che tantissimo delle ingiustificate svalutazioni delle capacità femminili, nasca proprio in famiglia e si trascini poi nella scuola, nel mondo del lavoro e così via. Il femminicida non è un malato, ma è il figlio sano di un certo tipo di educazione.

Si dice che in letteratura “tutto è stato scritto”, ma operazioni postmoderne di scrittura come la tua in Peccatori sconfitti e per di più insolenti dimostrano che è possibile creare altro. Pensi che il dialogo con i classici (con la mitologia nel tuo caso) sia un buon modo per continuare a mantenerne intatta la loro potenza ancora oggi, e avvicinare magari i più giovani alla scoperta del mito?

La mitologia è complicatissima. Oltre che a descrivere l’origine del cosmo, la nascita degli dei, l’origine dell’uomo e così via, fino ad arrivare ai miti degli eroi, che sono personaggi straordinari, dotati di forza sovrumana, intelligenza e capacità fuori dal comune, essa ci parla di uomini e donne che inevitabilmente sono destinati a perdere, a essere sconfitti, ma che pure sono dotati di un carattere straordinario, di una forza della personalità strabiliante. Accanto alle grandi imprese, alla gloria dei trionfatori, alla celebrazione di supereroi potenti, c’è un’epica del quotidiano di pari ed eccezionale valore. Di pari grandezza. Io penso che oggi, più che mai, ci sia bisogno di epica. E non solo di un’epica delle grandi narrazioni, delle grandi scelte, delle grandi azioni, ma anche, e ancora di più, di un’epica dei sentimenti forti. Di un’epica dei valori. Di un’epica che riempia d’intensità la nostra relazione con la vita intera. Se un libro come Peccatori sconfitti e per di più insolenti riuscisse a far avvicinare i più giovani alla scoperta del mito, sarebbe per me una delle soddisfazioni più grandi.

Giovanni Boccuzzi

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