È liberamente ispirato a «Il Piccolo Principe» di Antoine de Saint-Exupéry lo spettacolo di Vito Signorile «Il Principino» con la regia e la drammaturgia di Damiano Nichio. Una produzione Teatri di Bari e Gruppo Abeliano in scena per la Stagione della Compagnia Diaghilev, sabato 16 (ore 21) e domenica 17 marzo (ore 19), al Teatro van Westerhout di Mola di Bari (info 333.1260425). Interpretata dallo stesso Signorile con Anna de Giorgio e Danilo Giuva, questa breve cronaca familiare esplora il difficile rapporto tra padri e figli e la difficoltà di fare i conti con le proprie radici e la terra d’origine. «Tutti i grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne ricordano)», diceva l’autore del celebre capolavoro. E partendo da questa ispirazione, Nirchio ha costruito una fiaba drammatica e moderna per gli adulti del nostro tempo, collocata nel giugno del 1981, in un trivani con vista Fibronit nel quale le storie personali di un uomo ormai anziano, al quale fa ritorno il figlio dopo tanto tempo, si intrecciano con le immagini televisive della tragedia di Vermicino e del piccolo Alfredino.
Nel soggiorno ci sono tavolo e sedie di fòrmica, una credenza e una tivù perennemente accesa, annegati nel buio pesto come su un piccolo pallido pianeta nel vuoto infinito. Davanti allo schermo, sprofondato in poltrona e avvolto in una vestaglia logora, l’anziano e malato protagonista, interpretato da Vito Signorile, confonde lo spazio e il tempo in un eterno presente, pur mostrando un’estrema e abbagliante lucidità. Il confine tra le due cose è inconoscibile. La giovane figlia dei vicini (Anna de Giorgio) compare fugace e silenziosa, per fare da mangiare e dare una pulita alla stanza, immersa nei riverberi grigi del televisore e in un silenzio attraversato dalla pubblicità che precede il TG1. Un bambino è caduto in un pozzo vicino Frascati. Si chiama Alfredino. I soccorritori sono al lavoro. E proprio mentre vanno in onda le immagini di Vermicino, compare sulla porta il figlio dell’anziano uomo (Danilo Giuva). I due non si vedono da tanto. Li divide, da anni, un deserto di sabbia d’amianto e cemento, presente con i suoi granelli sulle parole, i corpi e i ricordi. E sui nodi mai sciolti. Un deserto a perdita d’occhio in cui è impossibile incontrare altri esseri umani, se non per un caso unico e irripetibile.
Accadde una volta ad un vecchio Aviatore e ad un Piccolo Principe. E accadde anche ad un bambino e a suo padre, più di vent’anni prima di quel 1981, quando vennero pronunciate le ultime parole nella “lingua-padre”, prima del silenzio. Prima che ognuno cadesse nel proprio pozzo, sempre più in fondo. Ora i due si trovano protagonisti di un dialogo in cui delirio e finzione provano a mettersi al servizio di un ultimo scampolo di verità. Per un viaggio nel deserto, estremo tentativo per calarsi nel profondo oscuro e fangoso e uscirne salvi. Mentre il “femminile”, evocato, incarnato, desiderato e compianto, quale inizio e fine del tutto, assiste con tragica pazienza.